E’ stato calcolato che l’Italia possegga oltre il 60% del patrimonio culturale e artistico rispetto a tutto il mondo, una concentrazione tale che fa del nostro paese un museo a cielo aperto che tutti ci invidiano e ammirano, visitato da cittadini provenienti da ogni parte del mondo.
Il nostro patrimonio artistico rappresenta la vera, sicura ricchezza nazionale, uno sterminato patrimonio di arte, da recuperare, restaurare e difendere (…..) da governanti improvvidi e dall’ingiuria del tempo, disseminato in centinaia di piccole e grandi città, ricche di storia sedimentata nei secoli.
Ecco la nostra ricchezza.
Questo patrimonio è, soprattutto per questa visione politica distorta e miope, costantemente oggetto di tagli pesanti del Bilancio dei vari governi che si succedono, quasi che il nostro patrimonio fosse una pesante remora di cui bisogna per forza occuparsi e non quel bene immenso stratificato durante i secoli della nostra storia e che attesta la nostra identità più profonda, da tramandare nel futuro.
Tutti i governi e opposizioni che si succedono via via nel nostro paese insistono, nei loro programmi, e ossessivamente, sul tema della “crescita” da tutti agognata quale soluzione di tutti i problemi, sottintendendo per “crescita” essenzialmente quella di tipo industriale e tecnologica.
Per di più, recentemente, il Ministro Tremonti ha detto che “con la cultura non si mangia”….
Questa frase detta da uno degli uomini più rappresentativi dell’attuale Governo ha lasciato molti sbigottiti. Bisogna avere la vista molto corta oltre che a una ben limitata cultura per avere il coraggio di pronunciare frasi di questo genere.
I crolli di Pompei solo sono gli ultimi tragici eventi cui abbiamo dovuto assistere; è di questi giorni il crollo del palazzo Loiacono, alto esempio del barocco siciliano di Agrigento, la città vicina agli antichi templi della Magna Grecia, la città del sacco edilizio e della frana del 1966.
Mi domando se anche i nostri governanti abbiano davvero subito quella trasformazione antropologica denunciata da un disperato Pasolini che, già egli anni ‘60-’70 vedeva nella cosiddetta società dei consumi e nella scomparsa delle tradizioni e culture locali, la perdita di valori fondamentali, l’ottundimento delle menti e l’omologazione dei comportamenti indotti dalla pubblicità e dalla forme capitaliste di produzione, quella che oggi chiamiamo globalizzazione.
E’ allarmante pensare che la nostra vera ricchezza, sulla quale spesso letteralmente camminiamo, che è sotto gli occhi di tutti, nelle nostre città, nei nostri paesi, nei nostri musei e chiese, veri e propri scrigni di bellezza, sia pressoché ignorata, bistrattata e sottovalutata per le immense possibilità che essa ci offre per il solo fatto di esistere e anche per il bisogno che ha di essere costantemente curata e accudita..
Penso a innumerevoli mestieri e professionalità, dai più modesti ma indispensabili, frutto di saperi e pazienza millenari. Ricordo un “pellegrinaggio” sui monti del nostro Appennino alla ricerca di quei piccoli forni ricavati in anfratti di roccia, dove i cavatori cuocevano certe pietre trovate sul posto e che servivano alla fabbricazione della calce (si spiega così, per esempio, anche la assoluta armonia cromatica degli antichi borghi, dello stesso colore e materiale reperito sui monti vicini). Innumerevoli mestieri da riscoprire, non in nome di un recupero nostalgico, ma per la necessaria aderenza a corrette pratiche di ricostruzione e restauro di cui sappiamo dare prova ed essere maestri riconosciuti, richiesti e invidiati nel mondo; stando attenti a non dimenticare o disperdere antiche metodologie (ancora impiegate in certe “botteghe” artigiane, le poche che sopravvivono) e materiali naturali oggi spesso difficili da reperire per i restauri e per il recupero
Infiniti mestieri, fino ai più raffinati e complessi, innervati da nuove prassi scientifiche e di ricerca indispensabili per progredire anche in questo campo delicatissimo….dal muratore che fa la malta speciale con materiali naturali e su, su, attraverso varie e diversificate professionalità, fino allo storico dell’arte, da impiegare in questo immenso cantiere di cura e “accudimento” che dovrebbe essere il nostro paese.
Un complesso entusiasmante di saperi e conoscenze da rimettere in moto, come in un nuovo Rinascimento, confortati anche da nuove tecnologie di restauro scoperte grazie alla ricerca importante anche in questo campo, da esercitare finalmente a pieno ritmo e non solo quando arrivino avari finanziamenti o il soccorso di qualche moderno mecenate; impiegare cioè intelligenza unita a quella creatività che ci hanno distinto nel passato e di cui sappiamo essere capaci come pochi al mondo.
LA BELLEZZA SALVERA’ IL MONDO.
Nonostante tutto, io credo in questa bella frase-augurio, anche un po’ disperata, di Dostojewski.
A volte sogno e penso che siano possibili altri programmi seri, spero in uomini lungimiranti e a progetti pieni di senso, prima che sia troppo tardi, prima che questo patrimonio fragilissimo scompaia del tutto.
Giovanna Boiardi
Dalla lectio magistralis di Salvatore Settis pronunciata al ricevimento della laurea Honoris causa in Giurisprudenza all’Università di Padova. -Stralcio dal ‘Giornale dell’arte’– Aprile 2008.
“Il concetto europeo di patrimonio culturale si è venuto formando nel corso dell’Ottocento. E si ispirava alla rinnovata consapevolezza della centralità del patrimonio per definire la cultura nazionale… Il punto focale era Roma come madre di tutte le arti in Europa ma anche a causa di una tradizione già fortissima a Roma e in altre capitali italiane e quasi assente nel resto d’Europa: la tradizione della tutela.
… le norme di tutela del patrimonio culturale sono una “invenzione” italiana, con una specifica primogenitura nella Roma pontificia; ma non meno importanti furono le norme di altre antiche capitali da Napoli, a Venezia, da Parma a Lucca. Chiediamoci dunque: come mai gli stati preunitari agirono tutti in una stessa direzione?
Nessun trattato inter-statale li obbligava a emanare leggi di tutela, (mentre nell’Europa di oggi trovare un punto di accordo sulla tutela del patrimonio è stato finora impossibile) eppure essi lo fecero e con leggi diverse nella forma, ma di spirito assai simile.
Vediamo qui un’opera di cultura civile e giuridica comune a tutta Italia.. Quello che accadde per l’italiano…accadde per la tutela. La tutela del patrimonio culturale è un linguaggio comune della cultura italiana ed è parte della nostra identità, del “codice genetico” degli italiani….. E’ a partire da questo sfondo di straordinario spessore
storico, culturale e giuridico che si vennero formando con processo tortuoso e generoso, le leggi di tutela dell’Italia unita.…”
Dopo alcune leggi che datano fin dal 1987 si arrivò ad “altre norme che culminarono nelle leggi 1089 e 1497 del 1939, proposte dal Ministro Giuseppe Bottai, dopo che i governi fascisti per diciassette anni non avevano innovato nulla in questo campo.
Ma benché approvata da un governo fascista, quelle leggi non ebbero nulla di specificatamente fascista e anzi seppero in sé riassumere il meglio della tradizione italiana di tutela, grazie ai consiglieri di cui Bottai si era circondato (sul versante, giuridico Santi Romano e su quello storico-artistico il giovane Giulio Carlo Argan).
La qualtà delle leggi Bottai furono tali che ad esse fecero chiaro riferimento i membri della Costituente quando, nella Costituzione di una Repubblica nata dai disastri del fascismo e della guerra, inserirono fra i principi fondamentali, l’art.9 che, come ha detto il Presidente Carlo Azeglio Ciampi, è il più originale della nostra costituzione”.
Possiamo qui ricordare che la legge 1089 del ‘39 su menzionata, permise alla nostra piccola associazione, il Gabbiano, di chiedere ed ottenere nel 1991, dal Ministero dei Beni culturali e artistici la tutela del complesso del S. Lazzaro e della zona del Mauriziano, altrimenti destinati, dagli allora vigenti Piani regolatori a ben altre destinazioni. Infatti per il S. Lazzaro si ipotizzava la demolizione dei padiglioni e la costruzione di aree commerciali e parcheggi.
Oggi il S. Lazzaro, dopo una lunga gestazione, è diventato Campus universitario ed è assurto così a quella importanza e dignità che, per storia e bellezza, gli compete. Ora aspettiamo che sia restaurato anche il parco storico perché sia riportato finalmente alla sua originaria bellezza e che si dia finalmente avvio alle attività connesse al Museo della psichiatria.
Così fu per la tutela ottenuta al Mauriziano, sulla cui area era ipotizzata la demolizione dell’antica Tintoria e la costruzione di alti condomini fino al ponte sul Rodano. Qui lo storia non è ancora finita. Attendiamo da anni che si risolva, nel rispetto della tutela ministeriale, il destino di questa area nella salvaguardia dell’antica tipologia residenziale.
G.B.