L’orto urbano è stato scoperto e valorizzato già da diversi anni, nel governo della società complessa, da parte di amministratori di diverse città, dagli USA, all’Europa ed ora anche in Italia.
Senza ricorrere all’esempio limite di Cuba, dove l’orto urbano è stato utilizzato come mezzo di sostentamento per fronteggiare l’embargo, basta guardare all’esperienza delle periferie di tante città dell’Est Coast USA o alla grande esperienza di Detroit (Canada), città dell’auto per antonomasia, (…..) dove un coraggioso sindaco ha fatto convertire ad orti urbani le periferie delle città, già collassate per lo sprawl e il conseguente collasso del sistema di mobilità e cadute in mano alla criminalità organizzata.
L’orto urbano non solo come orto, ma come orto-giardino (lo insegna la permacoltura) dove possa valorizzare le proprie energie chi è vittima della crisi economica italiano e non.
L’orto urbano come strumento di impiego di energie da canalizzare in senso positivo e per incrementare quella socialità che può dare speranza a chi non ne ha o si sente isolato, per chi sopravvive o magari vive di esperienze negative. Sono esempi tratti da esperienze reali.
L’orto non solo per chi è in pensione, ma anche per gli adulti, per i bambini e i ragazzi.
Qui, in Italia, a Cesena, già da tempo si lavora sul tema delle fattorie didattiche e dal 2004, ogni anno si organizza un convegno sugli “Orti urbani di pace” a cui partecipano nomi di grande rilievo.(1). Gli “Orti di pace” sono divenuti un associazione che offre la possibilità di mettere di condividere le conoscenze degli orti scolastici biologici, giardini della biodiversità.
Perché non realizzare anche a Reggio Emilia un progetto simile e incrementare le realtà di orti già esistenti e consolidati . Creare cioé una rete di ORTI – GIARDINI, magari sotto il coordinamento di un esperto di arredo rubano, non solo nelle scuole, ma anche negli spazi urbani inutilizzati o nelle aree e nelle periferie degradate, per una produzione di prodotti a filiera corta, oggi più che mai tema attuale per ridurre costi e inquinamento da trasporto.
In fondo, pensiamoci bene, oggi che si parla tanto di territorialità, perché rifornire le mense dei nostri asili e scuole dell’infanzia con frutta e verdura che magari provengono da centinaia di chilometri e non invece da prodotti coltivati a chilometro zero?